Una dialettica fra i governi e la Banca d’Italia non è certamente una novità di questi giorni. Tradizionalmente, negli anni della Prima Repubblica, si ascoltavano le Considerazioni del Governatore della Banca d’Italia per cogliere le valutazioni della Banca centrale sulla politica del governo e molto spesso si trattava di considerazioni critiche.
Non è neanche una novità che il governo reagisca a quelle osservazioni: se è chiaro che, nella sua autonomia, la Banca d’Italia reputi un dovere formulare critiche a uno o più aspetti dell’azione dell’esecutivo, è altrettanto evidente che il governo difenda il suo operato rispondendo a quei giudizi. Tuttavia, la cosa su cui soffermarsi è il tono della polemica sollevata ieri in Parlamento. Per quanto riguarda la Banca d’Italia, le osservazioni poste dal dottor Balassone, capo del servizio economico della Banca centrale, erano nel tono perfettamente in linea con quelle dei suoi predecessori. Colpisce invece che il sottosegretario Fazzolari, considerato vicinissimo alla presidente del Consiglio, abbia reagito non alle critiche - spiegando per quale ragione il governo ha ritenuto opportuno presentare le misure discusse - ma attaccando frontalmente la Banca centrale.
Ma, a parte il fatto che le decisioni della Banca d’Italia sono prese in piena indipendenza dalla banche azioniste, alle quali non sono riservati ruoli nell’amministrazione della Banca centrale, il sottosegretario dovrebbe sapere che l’ingresso delle aziende di credito nel capitale della Banca d’Italia risale al 1936 e fu deciso da Benito Mussolini. Forse, come si dice in Veneto, e come ricordava spesso Bruno Visentini, prima di parlare conviene tacere.
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