Nel corso del tempo il principio democratico ha talora incrociato il proprio destino con le trasformazioni che la storia ha imposto alla fisionomia della società.
La democrazia ottocentesca, fondata sui soli pilastri di maggioranza e minoranza, resse fin quando con la seconda rivoluzione industriale e l’introduzione del suffragio universale non venne travolta in molti Paesi dall’affermarsi di movimenti illiberali che portarono all’instaurarsi di dittature e a due guerre mondiali.
All’indomani di questi tragici eventi (e per evitare che si ripetessero), i sistemi democratici furono allora corredati di nuovi strumenti di tutela e garanzia: costituzioni rigide e checks and balances interni ed esterni alla forma di governo, come le corti costituzionali, il decentramento del potere, l’intangibilità dei diritti fondamentali dei cittadini, il divieto di concentrazioni monopolistiche ed oligopolistiche e così via.
Questi aggiustamenti hanno retto fino al prepotente affermarsi della globalizzazione, della finanziarizzazione dell’economia e della rivoluzione digitale.
Quando si cominciano ad avvertire sinistri scricchiolii nel funzionamento delle istituzioni democratiche la politica frequentemente cerca di nascondere la propria incapacità di affrontare le nuove sfide attraverso scorciatoie, proponendo riforme costituzionali tanto poco meditate quanto ritenute in grado di placare la sempre più diffusa necessità di sicurezza dei cittadini.
Il caso italiano non è quindi isolato ma è comunque paradigmatico.
La pandemia in atto, tra le tante cose negative, può allora costituire un’occasione insostituibile per una migliore riflessione collettiva e, per usare un termine purtroppo logorato, bipartisan.
Il Paese, già afflitto dal peso abnorme del precedente debito pubblico, dovrà inevitabilmente e ulteriormente indebitarsi e tutti concordano che le risorse transitoriamente a disposizione non debbano andare sprecate.
Due sono i nodi emersi e da sciogliere per superare la sfida: la semplificazione dei livelli di governo e la centralità del Parlamento quale sede indispensabile per salvaguardare la democrazia da ogni tentazione di pieni poteri del Governo, sia declinata in senso ottocentesco (la maggioranza può tutto), sia nascosta tra le pieghe dell’emergenza.
Si tratta di temi complessi e sui quali il mettere le mani richiede molta ponderazione.
Sarebbe utile però, fin dall’inizio, non caricarli da ulteriori errori. È proprio necessario insistere sulla autonomia rafforzata delle Regioni? Ed è utile al Paese infliggere al Parlamento, oggi da tutti i partiti invocato come necessariamente centrale, il colpo di maglio rappresentato da un referendum sul numero dei parlamentari (un tema sicuramente importante), che paralizzerebbe per molti mesi le Camere proprio in una congiuntura che ne richiede la massima efficienza?
Comments