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Draghi rilancia il multilateralismo

Nella conferenza stampa al termine del G20 straordinario sull’Afghanistan, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto a sottolineare come la riunione sia stata il primo vero approccio multilaterale da tempo ad un problema di politica economica internazionale.

Difficile sapere quanti ne abbiano compreso a pieno il significato. Il multilateralismo è in crisi proprio nel comparto della politica economica internazionale dove ha dato i frutti maggiori: il commercio mondiale.

Dal 15 aprile 1994, la vestale del multilateralismo nel commercio internazionale è l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) che venne insediata il primo gennaio 1995 a Ginevra. È nata con il Trattato di Marrakech del 15 aprile 1994, al termine di una trattativa durata otto anni.

L’Omc ha assunto, nell’ambito della regolamentazione del commercio mondiale, il ruolo precedentemente svolto dal Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade) che venne creato come strumento che sarebbe dovuto essere provvisorio, istituito, al termine della seconda guerra mondiale, dopo che le forze protezionistiche nel Congresso americano impedirono la ratifica del trattato istitutivo dell’Ito (International Trade Organization) che avrebbe dovuto completare la triade di istituzioni – le altre due erano il Fondo monetario e la Banca mondiale – per il riassetto ed il buon funzionamento dell’economia internazionale. A differenza del Gatt, che non aveva una vera e propria struttura organizzativa istituzionalizzata, l’Omc ha invece una struttura comparabile a quella di analoghi organismi internazionali.

Obiettivo generale dell’Omc è quello dell’abolizione o della riduzione delle barriere al commercio internazionale; a differenza di quanto avveniva in ambito Gatt, oggetto della normativa dell’Omc sono, però, non solo i beni commerciali, ma anche i servizi e le proprietà intellettuali. Tutti i membri dell’Omc sono tenuti a garantire verso gli altri membri dell’organizzazione lo “status” di “nazione più favorita”: le condizioni applicate al Paese più favorito (vale a dire quello cui vengono applicate il minor numero di restrizioni) sono applicate (salvo alcune eccezioni minori) a tutti gli altri Stati.

L’Omc rappresenta un meccanismo di enforcement degli accordi molto sviluppato rispetto alle organizzazioni internazionali tradizionali. Nel caso in cui dovesse riscontrare che una misura nazionale viola gli accordi, infatti, l’Omc, pur non avendo potere esecutivo, deve raccomandare che la misura sia resa compatibile con gli accordi e deve vigilare affinché siano rispettate le sue raccomandazioni.

Dopo la Conferenza ministeriale di Seattle nel 1999, che avrebbe lanciato il cosiddetto “Millennium Round”, è stato lanciato a Doha nel 2001, il “round sullo sviluppo”. Tale esigenza riflette il fatto che la maggioranza dei membri dell’Omc è composta oggi da paesi scarsamente sviluppati, per i quali il commercio internazionale rappresenta la possibile via d’uscita da una condizione di povertà. Tuttavia, a causa delle profonde divergenze tra i membri, in particolare tra paesi industrializzati – Ue, Stati Uniti e Giappone – e paesi emergenti ed in via di sviluppo – rappresentati soprattutto da Brasile, India, Cina –, il negoziato è ancora in fase di stallo.

Al pari delle altre organizzazioni internazionali, l’Omc non ha un effettivo e significativo potere per sostenere le proprie decisioni nelle dispute fra Stati membri: qualora uno Stato membro non si conformi ad una delle decisioni dell’organo di risoluzione delle controversie internazionali costituito in ambito Omc, quest’ultimo ha la possibilità di autorizzare delle “misure ritorsive” da parte del paese ricorrente, come avvenuto nei casi dei sussidi all’Airbus ed alla Boeing.

Al momento della sua istituzione l’Omc contava 76 Stati. Negli anni successivi altri Stati si sono uniti all’organizzazione, che conta ora 164 membri.

Anche se giovane, l’Omc è in crisi e si stanno approntando piani di riforma. Si tratta, in gran misura, di marchingegni giuridico-amministrativi che non toccano il nodo centrale.

Il commercio internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale a tempi relativamente recenti aveva l’unico obiettivo di promuovere efficienza produttiva e crescita economica. Da circa un quarto di secolo – analizza con acume uno studio dell’Economist Intelligence Unit - gliene vengono dati sempre di più, creando un ingorgo da sovraccarico: assicurare l’applicazione del diritto del lavoro tramite l’attuazione delle regole delle principali convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro; promuovere sani principi ambientali; frenare il cambiamento climatico; essere arma militare come strumento di ritorsione, per non citare che quelli salienti. La macchina si è ingolfata. Non si organizzano più grandi “round” multilaterali. Pullulano gli accordi multilaterali e la segmentazione del commercio con effetti negativi sul suo tasso di crescita.

Da sola, l’Italia può fare poco, perché nell’Unione europea la politica commerciale è gestita dalla Commissione europea su indirizzo dei Ministri dei 27 Stati membri. È da augurarsi che la frase di Draghi sia stata ascoltata e venga recepita. Almeno nell’Ue.


Bagehot

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