Ne vedremo oggi di scarpe rosse abbandonate nelle strade delle nostre città. E vedremo quest’anno per la prima volta anche panchine rosse istallate da molti comuni d’Italia ai margini delle strade e nelle piazze. E cuori, fiori, oggetti rossi coloreranno questa giornata che nel mondo viene celebrata come la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”. Perché Zapatos Rojas è l’opera di Elina Chauvet, artista messicana che nel 2009 con un’installazione davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, ricordava la sorella minore assassinata, a 22 anni, dal compagno. Così nel mondo le scarpe rosse “abbandonate” continuano a denunciare una piaga che infetta società e culture ancora legate a pregiudizi ancestrali, così come il nostro Occidente cosiddetto avanzato. Uno studio dell’United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) registrava nel 2018 la cifra impressionante di 379 milioni di donne sottoposte a violenze fisiche o sessuali da parte di uomini. Secondo il rapporto Onu Global Study on Homicide 2019, nel mondo si verificano circa 140 femminicidi ogni giorno, uno ogni 10 minuti. In Italia, ha reso noto la Polizia criminale, nel 2020 nei primi sei mesi dell’anno il numero delle vittime rispetto allo stesso periodo del 2019 è salito da 56 a 59.
La ricorrenza è stata istituita dall’Onu nel 1999. Il 25 novembre ricorda l’assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, attiviste dei movimenti di liberazione contro la dittatura di Leónidas Trujillo nella Repubblica Dominicana. Furno torturate, stuprate, bastonate, infine strangolate dagli agenti del Servizio di informazione militare.
La data segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre di ogni anno. Sedici giorni durante i quali istituzioni, sindacati, organizzazioni non governative, mondo dello spettacolo accenderanno i riflettori su un dramma che non accenna a finire.
La violenza contro le donne non è solo quella dei femminicidi e non è solo nella mortificazione delle donne propria delle culture che attribuiscono esplicitamente un ruolo subalterno al genere femminile. Pervade anche la nostra società e si manifesta nella condizione della maggioranza delle donne sulle quali grava il lavoro domestico e la cura della famiglia, si manifesta nella discriminazione evidente negli ambienti di lavoro, nel numero ancora minoritario di donne che occupano ruoli manageriali e cariche istituzionali. “La ricorrenza di oggi - ha detto questa mattina il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella - induce a riflettere su un fenomeno che purtroppo non smette di essere un'emergenza pubblica. Le notizie di violenze contro le donne – ha aggiunto - occupano ancora troppo spesso le nostre cronache, offrendo l'immagine di una società dove il rispetto per la donna non fa parte dell'agire quotidiano delle persone, del linguaggio privato e pubblico, dei rapporti interpersonali”. È un’emergenza pubblica - la definizione del Presidente non passi inosservata - e richiede quindi risposte istituzionali, perché il miglioramento della condizione femminile nel privato non può che avere origine dall’immagine pubblica che alla donna viene attribuita. In Italia la disparità di genere nel mondo del lavoro è ancora superiore alla realtà europea. Il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo, in un’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato il 24 novembre scorso, ha affermato che nel 2019 nel nostro Paese “il 22,4% delle donne ha una laurea (22,6% nel secondo trimestre 2020), contro il 16,8% degli uomini. Nonostante ciò il tasso di occupazione femminile con la pandemia sta facendo passi indietro. Nel secondo semestre di quest’anno si attestava al 48,4%, contro il 66,6% di quello maschile, collocandoci al penultimo posto in Europa. Sempre nel secondo semestre si sono registrate ben 470 mila occupate in meno”.
Lo svantaggio delle donne è solo una delle arretratezze e delle lacune esasperate dalla pandemia. Non è però fra le meno gravi, perché oltre a una dissipazione di competenze, genera un vuoto di energie, sensibilità, praticità, creatività, doti che conosciamo come declinate soprattutto al femminile. E perché la maturità di un Paese non può prescindere dalla parità di genere. Diceva Simone de Beauvoir che “non c'è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale. Tale destino è la conseguenza della storia della civiltà”. Auguriamoci che la storia del nostro Paese sappia dare un destino migliore alle donne.
Silvia Di Bartolomei
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