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L’intervista dell’on. Meloni al “Corriere della Sera”  

L’aspetto più significativo della lunga intervista rilasciata dall’on. Meloni a 7, settimanale del Corriere della Sera, è la conferma di quella che possiamo chiamare “la sindrome di Palazzo Chigi”. Di che si tratta? Si tratta della metamorfosi politica che tende a investire chiunque giunga in quelle stanze soprattutto qualora provenga da lunghi anni di opposizione e non abbia alcuna esperienza delle insidie della detenzione del potere. La metamorfosi consiste nel fatto di annullare qualsiasi progetto o visione di lungo periodo che quel leader politico abbia coltivato o annunciato nella fase che precede la sua ascesa al potere e il trascolorare delle aspirazioni riformatrici nella semplice gestione dell’esistente.

Non sappiamo se l’on. Meloni prenderà questo giudizio come un complimento o come un’offesa, ma dobbiamo dire che la sua intervista al magazine del Corriere della Sera dava il senso fortissimo di un déjà vu o meglio di un déjà lu: sembrava di leggere un’intervista dell’on. Rumor o, se vogliamo essere generosi, dell’on. Andreotti. Il refrain è quello consueto nelle interviste dei suoi predecessori di un tempo lontano: il governo sta facendo benissimo; al di là delle apparenze la maggioranza è assai compatta; ogni giorno ha le sue pene ma noi andiamo avanti cercando di fare il meglio nell’interesse del nostro Paese. Forse la differenza essenziale è che l’on. Meloni, parlando dell’Italia, usa la parola Nazione.

Per rendersi conto che questo giudizio è fondato, basta notare come nell’intervista non vi sia più cenno ad alcuni dei temi che avevano segnato la preparazione dell’ascesa della presidente del Consiglio e anche i primi tempi del suo esecutivo. Non solo non si parla più di uscire dall’euro, ma nemmeno di cambiare il verso all’Europa o della necessità di costruire una maggioranza diversa a sostegno della Commissione Europea. Ancora più significativo è il fatto che nell’intervista non vi sia cenno alcuno alle riforme costituzionali e istituzionali che hanno accompagnato i primi due anni di governo. Nulla si dice della riscrittura della legge sull’autonomia dopo il giudizio della Corte Costituzionale. Nulla, ed è ancora più significativo, sulla grande riforma del presidenzialismo.

Si direbbe che sia l’effetto di Palazzo Chigi su chi di volta in volta lo occupa: dimenticare i sogni di gloria e i castelli in aria e cercare di prolungare il più a lungo possibile il tempo felice, seppure faticoso, di rappresentare l’Italia in sede internazionale. Attenti a non dire male della Francia, o della Germania, dire che Trump non pensa all’Ucraina se non nei termini in cui vi pensa l’Italia.

Forse la stessa Giorgia Meloni si rende conto di questa discesa nella quotidianità. Non ha ancora il cinismo dell’on Andreotti quando diceva che tirare a campare è meglio che tirare le cuoia, ma è sulla buona strada.

 

3 gennaio 2025

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