Nel presentare il disegno di legge di riforma costituzionale, sia la presidente del Consiglio Meloni, sia la ministra per le Riforme istituzionali Alberti Casellati, hanno tenuto a dichiarare che la nuova normativa non inciderà in alcuna maniera sui poteri del Capo dello Stato. Questa affermazione è stata fino ad oggi ripetuta da tutti gli esponenti della destra che hanno preso la parola sull’argomento. È evidente che si tratta di una grossolana bugia perché in realtà la legge, se mai verrà approvata dalle Camere in questa forma e confermata dai cittadini nel referendum, sottrae al Presidente della Repubblica il principale potere che gli è conferito dalla Costituzione negli articoli che vanno dal 92 al 97.
Si tratta del potere di scegliere la persona alla quale affidare il compito di formare il governo o all’inizio della legislatura, oppure nel corso di essa, qualora il governo in essere abbia dato le dimissioni. L’articolo 92 al secondo comma recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”. Quest’articolo conferisce un potere molto vasto al Presidente della Repubblica giacché non gli indica verso chi debba indirizzare la sua scelta. La Costituzione prevede solo, nell’articolo 94, che il governo così costituito debba richiedere entro 10 giorni la fiducia alle Camere ed ottenerla.
Il disegno di legge Meloni di riforma costituzionale incide esattamente su questo potere del Presidente. Egli infatti, se sarà approvata la riforma, manterrà la responsabilità di nominare il presidente del Consiglio, ma non sarà lui a scegliere a chi conferirlo. Egli dovrà obbligatoriamente conferirlo al presidente del Consiglio dei ministri eletto in base ai primi due commi del nuovo articolo 92. Dunque, con un gioco di parole si può dire e si dice, che non sono toccati i poteri del Presidente della Repubblica perché sarà ancora lui a procedere alla nomina del presidente del Consiglio. Ma, mentre nella Costituzione vigente è il Presidente della Repubblica che sceglie a chi affidare l’incarico di formare il governo, nella nuova disciplina il Presidente non ha alcuna scelta: è vincolato alle indicazioni dell’elettorato. Si può decidere di adottare un sistema di questo genere sul quale è ovvio che noi non siamo d’accordo, ma non si può raccontare la bugia che i poteri del Presidente della Repubblica non vengono modificati.
Per fortuna - dovremmo dire - c’è l’on. Ignazio La Russa. Questi infatti, parlando ieri con la stampa parlamentare, ha voluto ammettere - o si è lasciato sfuggire - la verità, e cioè che il disegno di legge di riforma costituzionale riduce i poteri del Presidente. Che è una semplice verità. Poi, naturalmente, resosi conto di quello che aveva affermato, o richiamato dalle superiori autorità, ha sostenuto che egli non aveva affatto inteso dire che il disegno di legge riduce i poteri del Presidente della Repubblica scritti in Costituzione, ma si limita a “ricondurre” il Presidente della Repubblica ai poteri che la Costituzione gli conferisce . Il disegno di legge farebbe soltanto venire meno quei “poteri aggiuntivi” che la Costituzione materiale avrebbe aggiunto.
Se le parole dette e modificate non venissero dalla seconda autorità dello Stato, forse si potrebbe lasciar cadere la questione. Ma il Presidente del Senato deve essere preso sul serio e le sue parole debbono essere valutate a fondo. Allora, la prima domanda è quali siano questi poteri “aggiuntivi” che sarebbero stati surrettiziamente introdotti nell’attività dei presidenti della Repubblica. Quando sarebbero stati introdotti? E da chi? E di essi si starebbe valendo anche l’attuale Presidente ? Qui si vorrebbe comprendere se c’è qualche elemento giuridico sul quale poggiano queste dichiarazione o se siano pure espressioni verbali.
Ma qui si pone un secondo problema. Supponiamo anche che il testo governativo incida “solo” sui poteri aggiuntivi, come si fa a ignorare che esso fa venire meno il potere di “scelta” del nome del presidente del Consiglio che è iscritto nitidamente nell’articolo 92? Dunque, anche se il presidente del Senato avesse ragione, e si volesse ricondurre il Presidente della Repubblica ai “puri” poteri del 92, bisognerebbe riconoscere che in questa “riconduzione” si è andati troppo oltre, fino ad incidere nei poteri chiaramente indicati nell’articolo 92. È pensabile togliere al Capo dello Stato quella latitudine di scelte che è nelle parole del 92 e sostenere nello stesso tempo che si è solo ricondotta la Costituzione alla sua originaria formulazione?
In realtà, se proprio vogliamo essere generosi con l’on. La Russa, potremmo aggiungere che il modello proposto dal governo Meloni, cioè l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, sarebbe stato compatibile con l’idea di lasciare immutati i poteri del Presidente della Repubblica se si fosse reso eleggibile il Capo dello Stato. Non invece se si opta per l’elezione del Presidente del Consiglio. Cioè si si sarebbe potuto stabilire che il Presidente della Repubblica avesse facoltà di scegliere il presidente del Consiglio e il governo così costituito avesse l’obbligo di sottoporsi alla fiducia delle Camere, come in Francia. Certamente un modello più sensato (anche se altrettanto inaccettabile per noi) di quello che ci vorrebbe somministrare Giorgia Meloni.
Due considerazioni finali. La prima: se le forze della destra non sono d’accordo fra di loro, si mettano d’accordo e facciano un disegno che rifletta il pensiero della loro compagine. Se ce n’è uno. E non dicano di dover ripiegare su una soluzione pasticciata per colpa delle opposizioni. Secondo: c’è una questione di fondo su cui le opposizioni dovrebbero essere assolutamente intransigenti, e cioè che l’elezione diretta del capo dell’esecutivo per mantenere il carattere democratico al nostro ordinamento deve fondarsi sulla rigida separazione dei poteri. Gli elettori debbono scegliere separatamente il capo dell’esecutivo e il Parlamento. Come avviene in Francia e negli Stati Uniti.
Il presidenzialismo democratico è basato sulla ferrea divisione dei poteri. Chi vuole collegare maggioranza parlamentare e governi deve adottare il parlamentarismo come in Inghilterra e in Germania. Il modello che l’Italia si appresta a proporre è un modello non democratico, sperimentato nell’ex Unione Sovietica e probabilmente in qualche paese latinoamericano.
Giorgio La Malfa
19 dicembre 2023
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