Se i 5S dovessero vincere il referendum relativo al taglio dei parlamentari, sarebbe il loro primo successo dopo una sfilza di fallimenti nel governo giallo-verde da far vergognare persino Tartarino di Tarascona. Errori che sono costati miliardi che hanno accresciuto il debito pubblico e ingannato i contribuenti: reddito di cittadinanza, quota cento, TAV, Flat tax, irrinunciabile ostilità verso l’Unione Europea, apertura verso la Cina (pendant di quella di Salvini verso la Russia). Per non dire degli assurdi ostacoli frapposti ad ogni passo nel non facile Governo di coalizione con il PD, il cosiddetto Conte 2. Il quale Conte ha persino dovuto difendersi dal trafficante di parole Luigi Di Maio, per poter argomentare utilmente e difendere le prerogative finanziarie italiane nel programma Next Generation EU.
I 5S sono molto ansiosi per l’esito della loro improvvida iniziativa; infatti, dopo una tale imbarazzante lista di fallimenti, di gaffe e di manifestazioni di presunzione, prepotenza e incompetenza, se vincesse il SÌ al Referendum, i 5S alla fine un unico progetto potrebbero realizzarlo. Il peggiore. Il taglio dei parlamentari è una riforma parziale, intempestiva, in piena crisi da Covid 19, che farebbe risparmiare allo stato solo un pacchetto di milioni, mentre l’attenzione nazionale dovrebbe essere concentrata sulla selezione e la progettazione di riforme vere, quelle finanziabili dal Next Generation EU, un programma complesso pensato per i giovani, la ripresa e l’occupazione; riforme mirate e controllabili dalla Commissione Europea, la cui esecuzione imporrà coerenza, esperienza e competenza.
Nel merito, il progetto di diminuire il numero dei parlamentari non è certo un’idea nuova. Non è mai stata realizzata poiché avrebbe dovuto essere sempre associata a un insieme di altre riforme, fra cui quella del sistema bicamerale perfetto (le due Camere da noi hanno le stesse funzioni, ma votano separatamente), un’adeguata rappresentanza regionale, un potere diversamente articolato del presidente del Consiglio e una nuova legge elettorale; non certo da ultimo, il mantenimento della centralità del parlamento della vita democratica adatta a una società civile economica e politica policentrica e poliarchica come quella italiana. I passati fautori del “taglio” (Bozzi, Pannella, Vassalli e altri), consapevoli della complessità di tagliare senza un progetto di riforma coerente con l’insieme dell’ordinamento (tema a cui Santi Romano ha dedicato la vita), dopo avere ben letto grandi giuristi come Costantino Mortati e Pasquale Stanislao Mancini, vi rinunciarono. Non così i 5S, i quali saltano a piè pari questi problemi; non sanno chi siano Mortati, Romano o Mancini e non gliene importa nulla. La promessa elettoralistica del “taglio” nei 5S, infatti, fa parte delle bandiere populiste sbandierate all’insegna della furia anti-casta e anti- poltrone (salvo le loro) e il tentativo di diminuire il ruolo del Parlamento in attesa di poterlo sostituire, come hanno promesso, con una grande macchina digitale del genere della Casaleggio &c. Per questo il loro ideale di democrazia è sempre quello di una volontà generale che, grazie a Rousseau, potrebbe imporsi anche in forza di una minoranza. È un’idea che, peraltro, essi già praticano in casa propria. Alexis de Tocqueville aveva messo in guardia le democrazie dalla “tirannia della maggioranza” ma chissà se pensò anche all’ipotesi della tirannia della minoranza nella stessa democrazia. Nel caso dei governi a cui partecipano i 5S, per assurdo, si tratterebbe della minoranza di una minoranza: infatti, la libera volontà politica dei deputati dei 5S non è proprio libera e si forma anche in un organismo esterno alle istituzioni, la Casaleggio &c., in barba al divieto costituzionale di vincolo di mandato previsto per i parlamentari. Per questo il presidente Conte e il segretario del PD Zingaretti, per non avere sorprese, prima di fare programmi di governo e anticiparne il contenuto all’indispensabile Di Maio, farebbero bene a fare un salto presso la Casaleggio &c. per sondare gli umori dei soci 5S che ne finanziano l’attività, per acquisire qualche straccio di indicazione sul voto in Parlamento dei deputati 5S.
Se al Referendum prevalesse il NO, l’intento esclusivamente mediatico ed elettoralistico dei 5S diverrebbe evidente. Le conseguenze potrebbero essere: A) I 5S subirebbero un colpo quasi mortale, e anche Salvini ne sarebbe danneggiato; B) i due personaggi, Di Maio e Salvini, che hanno spadroneggiato sul palcoscenico politico italiano degli ultimi due anni, quasi sicuramente ne uscirebbero male (in latinorum) simul stant et simul cadunt; C) il governo Conte 2 potrebbe cadere e potrebbe cadere lo spauracchio di un governo Salvini, cioè del governo di una destra anti liberale, anti europea, autoritaria e fascistoide che, con buona pace di Berlusconi, di un centro-destra liberale scaverebbe la tomba.
Se prevalesse il SÌ, lo scenario sarebbe diverso. Il Governo Conte 2, con i suoi limiti, potrebbe continuare come business as usual; ma con mille problemi fra cui: A) la scelta e la gestione finanziaria e operativa delle importanti riforme che si renderanno finanziabili dal Next Generation EU, ma che richiederanno un notevole impegno (si pensi solo alla riforma della giustizia e quella della scuola), una sfida non da poco tenuto conto della dilagante incompetenza di intere aree del settore pubblico che verranno coinvolte per gestire in tempi utili e risorse adeguate tali riforme. B) Il rimedio ai conflitti interni del Pd e della stessa maggioranza; C) la posizione di critica “costruttiva” al governo Conte 2 da parte del partito di Matteo Renzi, Italia Viva, nella formulazione di una nuova legge elettorale organica. Il quale Renzi, reso forse più umile e più competente, dopo suoi passati errori, potrebbe dare una nuova una voce al PD e alleggerire il peso dei 5S nella maggioranza di governo. Renzi tuttavia, pur tenendo la ghigliottina alta vicino al collo del presidente Conte, non avrebbe il coraggio di farla cadere. Dopo il fallimento del suo (non certo peggiore) referendum del 2016, Renzi è cauto e fa pensare alla storiella americana del gatto di Mark Twain; il quale, si diceva, si era seduto una volta su una stufa bollente, dopodiché non si era mai più seduto su una stufa neppure fredda.
Marco Patriarca
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