Questa seconda ondata di Covid19, ampiamente annunciata, sembra peggiore della prima. L’incremento esponenziale dei contagi e delle sue conseguenze su un sistema sanitario che mostra tutte le sue fragilità, la sua diffusione questa volta equamente distribuita su tutto il territorio nazionale, si uniscono ad un atteggiamento del tutto diverso dei cittadini, chiamati ad effettuare nuovi sacrifici. Se nel corso della prima ondata tutti indistintamente avevano mostrato un grande spirito unitario, stringendosi fiduciosi attorno alle istituzioni e accettando, con pacifica e a volte quasi gioiosa rassegnazione, le dure condizioni del confinamento e le gravi conseguenze economiche della chiusura di moltissime attività industriali, artigianali e commerciali, totalmente opposti appaiono i sentimenti che questa seconda ondata di contagi sta facendo emergere nel paese.
In inverno, i cittadini italiani, tutti, avevano mostrato uno spirito nazionale inatteso e consapevole della gravità che un accadimento così improvviso e di enormi dimensioni, come la pandemia (un qualcosa che ormai si considerava relegato nei libri di storia della medicina del mondo occidentale, industrializzato e organizzato da un punto di vista sanitario, e confinato solo in alcune realtà del terzo mondo), fiduciosi nella capacità del governo di fronteggiare l’emergenza e condurre il paese fuori dalla crisi prima e proteggerlo da eventuali ritorni di fiamma poi. Mai, come durante questi accadimenti, un governo e il suo presidente avevano goduto di tanta diffusa fiducia.
Questo credito è stato buttato alle ortiche nel volgere di pochi mesi.
Se l’esecutivo avesse dato l'impressione di lavorare duro e efficacemente per contenere la seconda ondata, forse assisteremmo di nuovo ai canti sui balconi, forse ancora una volta la popolazione si stringerebbe attorno alle istituzioni consapevoli che, quant’anche le cose fossero comunque volte al peggio, queste avevano fatto il possibile per mettere in sicurezza i cittadini e le loro attività.
Ma non è stato fatto nulla. Nessuno ha neanche accennato a un riconoscimento di responsabilità e a chiedere scusa per quanto non fatto.
Ci si è occupati solo di cose lontane anni luce dai problemi dei cittadini: dalle nomine nei posti di potere economico alle faide interne ai partiti, dai bonus monopattino alle surreali liti sui banchi. Si è discusso di Rousseau e dei soldi versati dai parlamentari 5S, di terzi mandati e se Di Battista fosse o meno critico con Di Maio, del futuro della inutile Raggi e dei veti incrociati sui possibili candidati della sinistra al comune di Roma. Ci si è interrogati su Salvini, su Zaia, e se Giorgetti si parlasse o meno con il capitano, se le iniziative dovessero prenderle il governo, le regioni, i comuni o, come è poi avvenuto, nessuno. Si è innescato un cortocircuito di annunci e decisioni spesso in totale contrasto tra stato centrale e regioni, a cui la sciagurata riforma del titolo V della costituzione ha assegnato le competenze per la sanità, generando confusione e incertezze che sono andate a sommarsi alla paura del contagio. La suddivisione di un bene garantito dalla Costituzione a tutti in egual misura, come il diritto alla salute, in venti realtà separate, con venti interpretazioni, venti iniziative diverse, venti diverse possibilità di accedere alle stesse cure, venti modi di comunicare, hanno contribuito a generare ulteriore confusione e rabbia in chi ha compreso di essere meno protetto di altri per il semplice fatto di usufruire di un servizio sanitario tutt’altro che uguale per tutti sul territorio nazionale.
Tutti, forze di governo e di opposizione, puntano oggi il dito contro questo cortocircuito decisionale, ma nessuno propone di modificarlo togliendo finalmente alle regioni competenze che la maggior parte di loro non sono state in grado di gestire e modificando quelle riforme, come la legge Bindi, che hanno consentito l’instaurarsi di un controllo militare della clientela politica da parte della politica regionale, proprio a scapito della sanità e della sua efficienza. E il sospetto che non lo facciano perché in fondo ciascuno riceve la propria fetta di torta di spesa sanitaria è forte e diffuso.
Se il governo, il parlamento e le regioni avessero mostrato di lavorare in sinergia per il paese reale, per alleviare i drammi che si stavano vivendo, per organizzare sistemi efficaci per gli spostamenti in sicurezza sui mezzi pubblici, utilizzando anche le migliaia di mezzi privati costretti a star fermi; per reperire tra le tante strutture inutilizzate quelle adatte ad ospitare succursali scolastiche; per prevenire gli assembramenti del sabato sera prima che il Covid si distribuisse oltre il sostenibile; per rafforzare e far lavorare in sicurezza la medicina del territorio, di cui tutti, ma proprio tutti, avevano individuato carenze e debolezze giurando che sarebbero state modificate; per organizzare i percorsi ospedalieri in modo efficace e sicuro; se dopo avere imposto una serie di costose misure di sicurezza, distanziamenti, riduzioni del numero degli avventori degli esercizi pubblici, degli spettatori di cinema e teatri, il contingentamento degli ingressi in negozi e supermercati, rigorosamente protetti da mascherine e igienizzazione, il governo non avesse improvvisamente deciso di richiudere tutto, senza una effettiva valutazione dell’incidenza di infezioni laddove tutto era stato riavviato secondo le sue stesse indicazioni, aggiungendo al danno dei mancati introiti il danno delle spese sostenute per gli adeguamenti; se lo Stato avesse mostrato efficienza e tempestività nell’erogare gli aiuti e la cassa integrazione promessi, anziché litigare sullo stipendio del presidente dell’INPS, oggi, forse, non si assisterebbe alle esplosioni di rabbia e di violenza di chi si vede ancora una volta addossata la responsabilità del contagio da parte di chi si è baloccato sul nulla e cerca di chiamarsi fuori da ogni responsabilità, continuando anzi a recitare l’ormai stantio mantra del “come siamo stati bravi” e del “metodo italiano da imitare”, a cui non credono più neanche loro.
La politica ha continuato a litigare ed a rimirarsi l'ombelico non accorgendosi della bufera all'orizzonte e non trovando di meglio, una volta scoppiato il temporale sanitario, che colpevolizzare i comportamenti privati facendo ricadere sui cittadini la responsabilità di fronteggiare l'epidemia con nuovi duri sacrifici personali e facendo crescere un intollerabile senso di solitudine in chi si è sentito abbandonato e penalizzato per responsabilità non sue.
Il risultato è quello che si vede in questi giorni: ospedali pieni, terapie intensive piene, medici e infermieri in affanno, morti, impossibilità di accedere a esami e cure per altre gravissime patologie, paura del presente e incertezza del futuro, e di conseguenza rabbia, proteste, violenze diffuse ovunque contro chi appare ormai accomodato su un altro pianeta e sembra vivere in un universo parallelo, danzando al suono di una lugubre marcia funebre per la tenuta sociale e lo stesso sistema democratico.
Cesare Greco
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