Lettera da Bruxelles
L’aumento delle spese militari divide l’Italia e anche altri paesi europei, a cominciare dalla Germania o dalla Spagna. Eppure pare che quasi nessuno prenda in considerazione una soluzione che potrebbe accontentare tutti: passare finalmente all’azione per la creazione di una difesa comune, che consentirebbe un risparmio considerevole, senza bisogno di aumentare i bilanci e migliorando decisamente la capacità operativa delle forze armate europee. Anzi, in assenza di una difesa comune, qualsiasi aumento di stanziamenti nazionali si rivela come uno spreco maggiore.
Le tabelle sui risparmi introdotti da una difesa comune sono numerose, e i calcoli non sono sempre facili, ma comunque nell’ordine, come minimo, delle decine di miliardi. Tra i tanti esempi possibili, si può ricordare il costo maggiore, valutato dal Centro Studi Federalismo, dovuto alla ricerca & sviluppo di ben tre aerei da combattimento europei come l’Eurofighter, il Rafale e il Gripen: oltre 10 miliardi in più rispetto a un prodotto equivalente, e unico, statunitense. Costi che aumentano considerevolmente quando poi si passa alla produzione. In Ucraina si osserva un largo uso di droni (come già fu in Nagorno-Karabakh): è solo un altro dei settori nei quali le forze armate europee si muovono in modo assai sparso. Prive di una massa critica sufficiente, molte forze armate europee sono sprovviste di servizi tecnologicamente avanzati ma ormai indispensabili – dai sistemi di rifornimento in volo alle capacità missilistiche di difesa.
Nemmeno la guerra in Ucraina, e appunto il controverso aumento dei bilanci nazionali per la difesa, pare svegliare l’inerzia europea dal suo torpore istituzionale, riprendendo un cammino che con la CED – ormai settanta anni fa – era già compreso nella sua inderogabile necessità.
Finora sono stati soprattutto i Verdi europei a segnalare come il dibattito più spese militari oppure status quo dovrebbe essere superato da quello per una difesa europea con significative economie di scala. Una prospettiva resa oggi meno velleitaria dalla conferma del presidente Macron – sempre che il suo europeismo sia capace di tradursi in riforme autentiche. I presupposti per passare ad un’iniziativa concreta dovrebbero essere due.
1) Evitare ogni ulteriore “maggiore coordinamento” o costituzione di limitati contingenti comuni sotto le bandiere UE: queste sono strade già intraprese da tempo e che finora non hanno permesso alcun salto di qualità. 2) Lanciare da parte di alcuni Stati UE una cooperazione rafforzata così come previsto dal Trattato di Lisbona, per creare un gruppo di paesi seriamente impegnati nel far convergere l’insieme delle proprie forze armate in un unico corpo europeo. Come in ogni cooperazione rafforzata, il progetto dovrebbe essere trasparente e aperto ad accogliere nuovi partecipanti. La Francia, l’Italia o la Spagna – paesi legati anche da trattati bilaterali di cooperazione – potrebbero farsene promotori.
La Francia, unica potenza nucleare dell’UE e anche con maggiore disponibilità di reparti operativi al combattimento, sarebbe verosimilmente chiamata a offrire un nucleo cruciale di questa difesa europea, che dovrebbe disporre di programmi di ricerca, organici, classificazione dei dispositivi, programmi di armamento comuni, centri di formazione e sistemi di carriera comuni. Alcune ristrutturazioni ne risulterebbero inevitabili ma i risparmi sarebbero immediati, così come i benefici in termini di capacità operativa.
Evidentemente i paesi coinvolti dovranno compiere altri passi coraggiosi: un servizio di informazione comune o quantomeno servizi strettamente coordinati e con un catena di controllo condivisa; e un consiglio comune di politica estera. Molti “caveat” sarebbero necessari - dai vessilli a certi corpi specifici (si pensi alla quarta forza armata italiana, i Carabinieri, che hanno anche compiti extra-militari).
Molti considerano scenari così delineati come fughe in avanti o progetti ancora irrealistici. Eppure a Bruxelles si guarda all’irrealtà conservatrice della persistenza di ventisette eserciti, aviazioni, marine, tutti con molte aree di cooperazione tra di loro – da sistemi missilistici a esercitazioni comuni – il che paradossalmente non semplifica nulla, ma anzi rende perfino più farraginoso il sistema di difesa europeo nel suo complesso: iniziative ed entità come OCCAR, LOL, Agenzia di Difesa Europea, protocolli volontari, una miriade di accordi bilaterali e molto altro, sono solo alcuni esempi che dimostrano la consapevolezza della necessità di mettersi insieme, senza però mai compiere una scelta definitiva. E senza riuscire ad abbattere come invece si potrebbe, i costi.
Il vero dibattito sull’aumento delle spese militari dovrebbe dunque essere completamente reindirizzato in questa prospettiva: ne guadagnerebbero sia i favorevoli che i contrari, come coloro che credono nella necessità imperativa di un’Europa unita e chi insiste sullo smarcarsi dalla dipendenza militare da USA e NATO a trazione americana. La risposta all’aggressione all’Ucraina dimostra che di fronte alle questioni cruciali l’Europa ha già una sua compattezza politica, una visione condivisa contro una scelta russa che nella sua follia pare inchiodata a logiche di epoche che si pensavano, almeno in Europa, superate. Ma anche l’Europa dell’Occidente può indugiare in una follia analoga, rinviando la scelta della difesa comune e perseverando in divisioni che niente hanno ormai di razionale – tantomeno in termini di bilanci.
Niccolò Rinaldi
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