Per noi che seguiamo con molta attenzione la preparazione del piano italiano di utilizzo del Next Generation EU, due segnali ci sembrano oggi significativi di una certa tensione in seno al governo su questa materia. Il primo è la risposta che il ministro per gli Affari europei Amendola ha dato in un’intervista apparsa stamani sul Mattino. A una domanda sul Recovery Fund, Amendola ha risposto seccamente che egli si occupa del rapporto fra l’Italia e l’Europa, che è il mandato del suo ministero, quasi a volersi smarcare dalle attuali vicende del piano. Il secondo è stato colto da Dino Pesole sul Sole 24 Ore di oggi, in un articolo nel quale il giornalista riferisce delle preoccupazioni europee sul debito pubblico italiano. Pesole si sofferma sul contenuto della lettera del ministro Gualtieri ai Commissari Dombrovskis e Gentiloni, nella quale assume l’impegno di riportare il rapporto debito - PIL dell’Italia al livello pre-covid entro un decennio e osserva che una crescita annuale del 3% del reddito nazionale è il minimo necessario a questo scopo.
Noi avevamo avuto l’impressione che nel passaggio fra la prima versione del piano – quella curata in splendido isolamento da Palazzo Chigi nell’autunno e presentata nel dicembre scorso – e la versione dell’11 gennaio, scaturita dalle revisioni apportate da Gualtieri, vi fossero delle significative differenze. Una di esse era l’inclusione nel piano di progetti di investimento, come ad esempio l’alta velocità Napoli-Bari, da finanziare con le risorse europee, cosicché il debito italiano non sarebbe cresciuto dell’intero ammontare teoricamente disponibile nel Next Generation EU, ma solo di una parte abbastanza limitata. In secondo luogo, avevamo notato l’aumento delle cifre destinate agli investimenti e la riduzione dei trasferimenti. Insomma, avevamo avuto l’impressione di uno sforzo per rafforzare gli aspetti produttivistici del piano, proprio per garantire l’effettivo raggiungimento di un tasso di crescita adeguato, e nello stesso tempo avevamo colto una seria consapevolezza per la situazione del debito pubblico.
Vediamo, però, che adesso il giuoco sembra tornato nelle mani del presidente del Consiglio, il quale conduce le consultazioni delle forze sociali, come è giusto che sia, ma promette un’ulteriore revisione del piano alla luce di questi incontri. Ora, a parte il ritardo che ormai è conclamato – tanto che ne parla esplicitamente il ministro Amendola – c’è da chiedersi se le revisioni cui accenna il presidente del Consiglio non andranno di nuovo ad intaccare proprio le correzioni apportate da Gualtieri. Ieri, ad esempio, Conte ha promesso ai sindacati un intervento sugli ammortizzatori sociali, cioè un aumento della spesa per trasferimenti. Gli investimenti stimolano l’occupazione, gli ammortizzatori sociali preservano il reddito. Gli effetti moltiplicatori di questi ultimi sono trascurabili, rispetto agli effetti degli investimenti. Se l’obiettivo dell’Italia è una crescita del 3% almeno l’anno, non è indifferente finanziare investimenti o trasferimenti. Semmai bisognerebbe ulteriormente ridurre i trasferimenti e aumentare gli investimenti scegliendoli con molto rigore. E la lettera di Gualtieri ai Commissari europei dice qualcosa sulla composizione del Piano italiano. Qualcosa che non sembra collimare con i negoziati in cui è impegnato il presidente del Consiglio.
Abbiamo scritto ieri che dalla crisi politica che si è accentuata dopo la decisione di andare alle Camere per chiedere la fiducia si può cercare di uscire affidandosi alle scelte del premier e quindi lasciandogli maneggiare tutti gli strumenti del consenso per raccogliere qualche voto parlamentare. Oppure si può uscire con una più forte assunzione di responsabilità da parte dei due partners politici della maggioranza. Anche ai fini della qualità del Recovery Plan le due strade non sono equivalenti. La necessaria scelta di uno dei due percorsi si rifletterà anche sul piano e su quel grande interrogativo riguardo il debito pubblico avanzato da Pesole nel suo articolo.
Del resto, non sarà passato inosservato l’avvertimento di Daniel Gros - economista tedesco, direttore del ‘Center for European Policy Studies’ (Ceps) – nell’intervista di ieri all’Huffington Post: “Attenti: l’Italia può fallire la sfida del Recovery plan”
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