Lettera da Bruxelles
Il Trattato del Quirinale, firmato il 26 novembre dal presidente Macron e dal primo ministro Draghi, è una bella notizia. Lo è sempre quando due paesi, che in un passato recente hanno conosciuto alcune frizioni bilaterali ma che condividono una fratellanza storica e culturale di antichissima data, siglano un patto per raggiungere obiettivi comuni.
Al tempo stesso, il Trattato ripropone il tema del rapporto tra intese, e comunque relazioni privilegiate, tra Stati membri dell’Unione e il consesso dell’Unione Europea nel suo insieme. L’Unione è infatti composta da ventisette paesi, e per quanto possibile dovrebbe andare avanti come un gruppo unito. Ma da sempre le spinte e anche le svolte del processo di integrazione europea sono spesso dovute a iniziative più ristrette, all’asse Francia-Germania, alle intese euro-mediterranee dei paesi del sud, o, a rovescio, alle posizioni di blocco di alcune convergenze come quelle del cosiddetto Gruppo di Visegrád. In una famiglia variopinta e numerosa come quella europea, vi saranno sempre rapporti privilegiati, occasionali o strutturali, tra un numero ridotto di soci.
Ciò che conta è che queste intese contribuiscano a un avanzamento del processo globale di un’Europa più unita. Questa pare essere stata la preoccupazione principale dell’intesa franco-italiana. Essa arriva anche al momento giusto per entrambe le capitali. Macron può archiviare, alla vigilia della campagna presidenziale, le numerose incertezze nei recenti rapporti con Roma – da Fincantieri agli incidenti presso il confine di Ventimiglia, dalla Legione d’Onore concessa ad Al-Sisi nel pieno della crisi Regeni, che indusse alcuni “legionari” a restituire l’onorificenza ottenuta oltralpe, all’affrettato richiamo dell’ambasciatore a Roma per via della vicenda dei gilet gialli. Non solo: nelle settimane nelle quali l’alleato tradizionale di Parigi ha chiuso a Berlino l’accordo di governo, il presidente francese mette in chiaro con la Germania che l’agenda pro-europeista non può cambiare, forte anche della nuova intesa al Quirinale.
Quanto a Draghi, ha ripreso un’iniziativa che era stata lanciata anche da Giuseppe Conte, ed è riuscito là dove altri, nonostante tanto vano daffare, avevano fallito, inserendo l’Italia nel gruppo di testa dei paesi europei. In un’epoca che avvicina (quasi pericolosamente, dato lo stato dei conti pubblici italiani) la fine della bonaccia pandemica con relativa sospensione del patto di Stabilità, il rafforzamento di un’intesa con la Francia è quello che ci voleva.
Tuttavia, resta da vedere in quale misura il Trattato del Quirinale saprà realmente smuovere le acque in un processo di integrazione europea che dopo alcune svolte significative intraprese nelle prime fasi della pandemia, batte nuovamente il passo. Lo spirito dell’accordo non può escludere paesi come Germania o Spagna, senza i quali l’intesa di Roma rischia di rimanere una mossa di politica interna più che sullo scacchiere europeo. È bene rafforzare il concetto di “Sovranismo europeo”, declinato in parte con altre formule che sottolineano la dimensione degli interessi nazionali dell’Europa (dall’“Autonomia Strategica” allo stesso “Compasso Strategico”), ma per essere fattivi occorre avviare quantomeno delle cooperazioni rafforzate, con un nucleo di paesi che dia il via al processo e che lasci la porta aperta agli altri.
Occorrerebbe, tanto più dopo i rovesci in Afghanistan, la questione AUKUS, le difficoltà nell’Africa sub-saheliana, che Italia e Francia lanciassero una proposta di cooperazione per una difesa non solo maggiormente “coordinata” e con operazioni congiunte, ma effettivamente comune. Una difesa che inevitabilmente dovrà tenere conto di un ruolo protagonista della Francia - per la sua presenza diretta nel Pacifico, per la Force de Frappe, per una più operativa capacità di combattimento di alcune unità, per il seggio al Consiglio di Sicurezza.
Molti altri sono i nodi che Francia e Italia devono affrontare e possono sciogliere solo in sede europea, non bastando un’intesa bilaterale: con la creazione di Stellantis, con sede fiscale in Olanda, anche Parigi, come già era successo a Roma, perde la titolarità del suo principale gruppo automobilistico e un riordino delle politiche fiscali degli Stati membri UE è tema che non lascia indifferente il presidente Macron. Sull’immigrazione dal fronte Mediterraneo, l’Italia, dati alla mano, è stata ancora una volta lasciata da sola, anche dalla Francia, e si deve superare la politica della buona volontà individuale di qualche paese con un approccio più strutturale. Ma dall’energia all’economia circolare, sono numerosi i tavoli che Francia e Italia hanno interesse a promuovere in Europa con un approccio basato sul metodo comunitario.
Oggi la Commissione è pronta ad appoggiare delle auspicate “fughe in avanti” da parte di un numero ristretto di paesi membri – e non è detto che sarà sempre così. Le procedure legali per farlo ci sono. Sono in trattati diversi da quello del Quirinale, e ne sono in qualche modo il complemento. Non devono restare lettera morta, pena il rischio che anche le ottime intenzioni di queste ultime e autorevoli firme abbiano, in termini operativi, lo stesso esito.
Niccolò Rinaldi
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