Il ministro Speranza è un buon ministro. È un buon ministro perché è un politico che ha studiato i fondamentali e ha una sua visione strategica della società italiana, cosa che manca a quanti si accomodano da tecnici su una poltrona ministeriale. Si può essere d’accordo o meno con questa visione, ma è fuori discussione che ce l’abbia, a differenza della maggior parte dei componenti del governo e della maggior parte della nomenclatura dei partiti che formano questo governo. Questo gli ha permesso di affrontare con buoni risultati la grave emergenza sanitaria di questi mesi, sicuramente la più grave del dopoguerra, acquisendo i pareri e le proposte dei tecnici e traducendole in azioni di governo, attente ai problemi complessivi creati dal fenomeno particolare. Questa visione politica gli ha fatto comprendere l’importanza di riorganizzare il sistema sanitario correggendo la visione ospedalocentrica, che tanti problemi di gestione e sovraffollamento dei pronto soccorsi ha creato in questi anni fino al collasso dovuto al Covid, che ha visto trasformarsi molti Dipartimenti di Emergenza in veri e propri moltiplicatori del contagio pandemico, per cercare di privilegiare una organizzazione che metta finalmente al centro il paziente (e consentitemi di annotare che questa è una visione di sinistra), portando sul territorio la gestione e la cura di molte patologie.
In questo senso, e indirizzata in questa direzione, vorrei qui fare una proposta che, a mio parere, porterebbe a un rafforzamento della medicina del territorio, a una maggiore attenzione per i problemi delle categorie più fragili e a un alleggerimento della pressione sui pronto soccorsi, ingolfati da anni da patologie del tutto incongrue, con quello che è e deve essere il loro principale scopo, ovvero la gestione e la cura delle acuzie.
Da anni le nostre università e i nostri ospedali sfornano legioni di infermieri e tecnici, laureati, bravi e motivati. Rappresentano un bene prezioso e una competenza spesso mortificata dalla routine ospedaliera, unico sbocco professionale attualmente possibile, che li colloca in una condizione di subalternità e di mortificazione delle competenze acquisite in anni di studi e tirocini. Gli sviluppi tecnologici e la miniaturizzazione di molti strumenti diagnostici, inoltre, mettono oggi a disposizione di questo personale, infermieristico e tecnico, strumenti in grado di seguire a domicilio l’andamento delle patologie croniche e gli effetti delle terapie somministrate. Perché, dunque, non istituire presìdi che mettano insieme queste competenze e che portino a domicilio la loro assistenza a quelle fasce di popolazione fragile, formata da grandi anziani, pazienti oncologici, pazienti neurologici etc., la cui permanenza negli ospedali rappresenta un appesantimento per i reparti che li accolgono e il preludio ad una fine triste ed emarginata. Fasce di popolazione che per l’allungamento dell’aspettativa di vita sono destinate a crescere, di persone sole il cui numero è in costante aumento e che hanno diritto a vivere dignitosamente e nei luoghi cari e familiari i loro ultimi anni. Abbiamo le competenze per fare questa rivoluzione culturale che riporti l’individuo e la sua qualità della vita al centro dell’assistenza, decine di giovani laureati in scienze infermieristiche in grado di somministrare a domicilio terapie anche delicate, tecnici e infermieri in grado di eseguire, sempre a domicilio, esami radiografici ed ecocardiografici, coordinati da pochi medici di medicina generale e specialisti del territorio. Sicuramente ne risentirebbe in modo positivo la tranquillità e la fiducia dei pazienti e delle loro famiglie nel loro sistema sanitario; per non parlare della spesa per ricoveri inappropriati o inutili che grava in modo pesante sui bilanci del sistema.
L’iniziativa del ministro è stata innescata dall’emergenza Covid e dagli errori madornali commessi nelle prime fasi della pandemia, quando ci si è resi conto di quanto importante fosse una sanità di primo intervento sul territorio e di quanto fosse stato sbagliato depotenziarla, ma l’occasione rappresentata dal virus, e i grossi finanziamenti messi in campo dall’Europa, possono essere un punto di partenza per la trasformazione del nostro sistema sanitario in qualcosa di realmente solidale e, finalmente, razionale e in linea con l’evoluzione della società.
Prof. Cesare Greco
P.A. Cardiologia
La Sapienza - Roma
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