L’epidemia da Coronavirus ha svelato cose che molti pensavano ma pochi ammettevano, soprattutto tra gli amministratori della cosa pubblica: la fragilità di sistemi costruiti senza considerare l’eventuale improvvisa insorgenza di situazioni di stress e che apparivano perfetti in condizione di normalità. Ha acceso inoltre un grosso, abbagliante, faro sulla inadeguatezza di una classe politica che si è dimostrata incapace di distinguere l’eccezionalità della situazione scatenata dal virus, continuando a comportarsi con il consueto, irresponsabile, tatticismo da corridoio, senza una idea una, senza mostrare la minima capacità di immaginazione, di visione per disegnare la traiettoria di uscita dalla crisi e di sviluppo conseguente.
Venti sistemi sanitari hanno dato venti risposte diverse, ma nessuno è rimasto immune da errori che, sommati tra loro, anche se con contributi di peso diverso, hanno finito per determinare la tragedia di questi mesi. Ma alla base c’è un errore culturale e scientifico: la convinzione che ormai i paesi ricchi dell’occidente industriale avessero sviluppato una diversa ricorrenza delle patologie, con una forte incidenza delle malattie degenerative, cardiovascolari e tumorali in primis, frutto del suo stesso sviluppo e di una conquistata longevità. Malattie del benessere, che avevano surclassato e relegato nei paesi poveri del terzo mondo quelle malattie indotte da agenti patogeni che l’occidente era convinto di avere sconfitto o, quanto meno, messo sotto stretto controllo. Il risultato è stata la più totale impreparazione, che non ha risparmiato nessuno, anche negli altri paesi dell’occidente industrializzato. Il prezzo più alto lo ha pagato chi, come la Lombardia, più degli altri ha adattato la propria organizzazione a questo assunto, dimostratosi drammaticamente sbagliato. L’avere sacrificato l’assistenza di prima istanza, quella rappresentata dai medici di famiglia e dai presidi territoriali fino al depotenziamento, l’avere concentrato gran parte delle risorse nelle strutture d’eccellenza, appaltate ai privati che le hanno obiettivamente rese un polo di attrazione internazionale, nelle grandi strutture ospedaliere e nelle strutture di assistenza agli anziani, necessarie quanto remunerative in una società sempre più anziana e affetta da patologie croniche dell’età, ha impedito di intercettare l’epidemia al suo insorgere, di iniziare precoci terapie soprattutto a domicilio e ha intasato i pronto soccorsi giunti rapidamente al collasso e trasformati in luoghi di concentrazione di cariche virali.
Ma lo spettacolo a cui si è assistito ha svelato anche la inadeguatezza gestionale del nostro sistema sanitario. Un sistema basato sullo spoil system clientelare, utilizzato per sistemare galoppini e compagni di partito trombati alle elezioni, non poteva illudersi di avere ai suoi vertici manager adeguati e, soprattutto, competenti. Il risultato è stato il caos totale, nelle decisioni sulla gestione della pandemia, con decisioni estemporanee, spesso dettate più dal panico e dalla contingenza che da una strategia razionale, con un profluvio di decreti a volte in contraddizione tra di loro, sia del governo nazionale che delle regioni e perfino dei comuni, il totale caos negli approvvigionamenti dei sistemi di protezione individuale e degli strumenti per l’assistenza ai malati più gravi, pigramente partiti con colpevole ritardo. Nel Lazio è andata in scena la vicenda di improbabili importatori di Sistemi di Protezione Individuale, come le famose mascherine, in un modo che definire farsesco è usare termini cortesi. Né si può imputare il singolo fallimento alla fazione politica momentaneamente alla guida della singola regione e del suo sistema sanitario, che è proprio la sua organizzazione complessiva, frammentata e in mano alla peggiore politica, la vera responsabile. Non rendersi conto di questo, usare la crisi per battaglie politiche di retroguardia senza porsi il problema di ridisegnare in modo omogeneo sul territorio nazionale il sistema sanitario, non dà solo l’immagine di una classe di governo paralizzata nei propri inutili e inconcludenti riti, ma rischia di riproporre la stessa colpevole impreparazione qualora la pandemia dovesse riprendere forza o un’altra, che potrebbe anche essere di gran lunga peggiore, affacciarsi alle porte delle nostre case.
Prof. Cesare Greco
P.A. Cardiologia
La Sapienza - Roma
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